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Piero Amariti, 34 anni, assicuratore, padre. Dopo violenze e minacce, spara alla moglie e si uccide davanti al figlio di 6 anni

Rho (Milano), 29 Luglio 2009


Titoli & Articoli

Non sopporta separazione: uccide la moglie davanti al bambino e poi si spara (Corriere della Sera – 29 luglio 2009)
I coniugi 34enni erano separati di fatto. Lei aveva denunciato il marito: «Mi ha minacciato con la pistola»
Tragedia familiare a Rho, nel Milanese. Un uomo di 34 anni, Piero Amariti, al culmine di un violento litigio ha ucciso la moglie, Cristina Messina, 34 anni, a colpi di pistola e poi si è suicidato con la stessa arma. Tutto è avvenuto sotto gli occhi della sorella della donna e del maggiore dei figli della coppia, di 6 anni (c’è anche una bambina di 4 anni). Il fatto è avvenuto prima delle 8 di mercoledì mattina in via Vincenzo Bellini angolo via Rossini a Rho, in provincia di Milano. Inutili i soccorsi del 118: entrambi i coniugi erano già morti all’arrivo dei sanitari. Dopo una lite avvenuta un mese fa, con minacce e conseguente denuncia, i due erano ormai separati: nella casa di famiglia viveva soltanto la donna con i bambini, mentre l’uomo era tornato a vivere con i suoi genitori. Una situazione per lui insopportabile, che lo ha portato alla follia.
LA TRAGEDIA – Piero Amariti lavorava in un’agenzia di pratiche auto, mentre la moglie Cristina lavorava in un bar-trattoria di fianco alla concessionaria del padre. Sembra che da tempo vi fossero cattivi rapporti tra genero e suocero. Cristina stava per partire per le vacanze con la sorella e i bambini: questo deve aver scatenato la furia omicida e autolesionista del marito. Piero Amariti è arrivato la mattina presto davanti alla casa della moglie e ha aspettato che lei uscisse con l’auto, una Citroen 5. Nella vettura, insieme con Cristina, c’erano anche la sorella e il bambino di 6 anni. Piero ha minacciato la moglie con la pistola, facendola uscire dalla vettura, e le ha sparato due colpi, che l’hanno raggiunta uno alla testa e l’altro alla gola. Un proiettile ha poi colpito la portiera della macchina. Quindi l’uomo, senza far caso al pianto disperato del figlio, ha rivolto la pistola a tamburo, una 357, contro se stesso e si è sparato alla testa, crollando sul marciapiede accanto al corpo della moglie. La zia ha preso in braccio il bambino che piangeva disperato e l’ha portato di corsa dentro casa; i genitori di Cristina, che abitano poco lontano, sono accorsi e hanno cominciato a chiamare aiuto. Il padre, colto da malore, è stato ricoverato all’ospedale San Raffaele.
LA DENUNCIA – Secondo la testimonianza di una parente, a fine giugno i due coniugi avevano avuto una violenta lite, durante la quale l’uomo aveva minacciato di togliersi la vita e di uccidere anche la moglie. Per questo la donna, lo scorso 30 giugno, aveva presentato una denuncia contro il marito alla Polizia di Rho. Gli agenti avevano accompagnato Piero Amariti è stato accompagnato al Pronto Soccorso, dove i medici, visto che non era un caso acuto, non rilevarono né chiesero la necessità di un trattamento sanitario obbligatorio (Tso), come ha precisato il direttore sanitario dell’ospedale di Rho, Davide Cartoni. La Procura aveva anche autorizzato la polizia a perquisire l’auto della coppia. In quell’occasione non venne trovata alcuna arma: la pistola usata questa mattina dall’uomo per uccidere la moglie e suicidarsi è risultata infatti detenuta illegalmente.
LA CUGINA – «Piero era una brava persona, sapevo che si volevano bene, non mi risulta avessero avuto dei problemi ed erano bravissimi marito e moglie», ha raccontato invece una cugina acquisita del presunto omicida. «Per lui la cosa più importante era la famiglia, non mi risulta che abbia mai avuto atteggiamenti violenti o che abbia mai aggredito o minacciato la moglie. Sono sconvolta per quello che è successo, non riesco a capacitarmene».

 

Cristina e Piero, sembrava una coppia perfetta (il Giornale, 30 luglio 2009)
Un matrimonio che sino a quando ha funzionato, sembrava perfetto. Lui e lei persone gentili, educate, solari che vivevano uno per l’altro in perfetta armonia. Senza problemi economici, circondati dall’affetto della famiglia di lei, che si prendeva cura anche dei loro bambini di tre e sei anni. Cristina Messina e Piero Amariti, entrambi 34 anni, abitavano in un appartamento, messo a disposizione dal padre di lei. E nello stesso immobile vive anche la sorella Cinzia, 35 anni, la stessa che ieri ha assistito alla tragedia.
Negli ultimi tempi, tuttavia, la convivenza con i suoceri, aveva raffreddato i rapporti fra quest’ultimo e il genero. «Forse se avessero vissuto lontano – raccontano alcuni conoscenti – i loro dissapori, ammesso che esistessero davvero, li avrebbero appianati da soli, come tante altre coppie». Un’ipotesi in qualche modo avallata anche dai vicini che avrebbero sentito litigare in maniera piuttosto accesa i due uomini.
Germana Amariti difende a spada tratta invece il cugino Piero: «Era una bravissima persona per lui la cosa più importante era la famiglia, non mi risulta che abbia mai avuto atteggiamenti violenti o che abbia mai aggredito o minacciato la moglie. Sono sconvolta per quello che è successo, non riesco a capacitarmene». «Al di là di tutto sembravano affiatati e innamorati, e ai loro bambini davano tutto e di più. Quanto alle frequenti liti, è tutta un’invenzione» aggiungono sempre alcuni amici che preferiscono restare anonimi.
Cugina e amici che sembrano ignorare la brutta vicenda del 30 giugno, quando pistola alla mano, Amariti avrebbe costretto la moglie e fare l’amore. La donna non reagì per non coinvolgere i figli, addormentati nella stanza accanto, ma poi chiamò il 113. La polizia non arrestò l’uomo perché l’arma non venne trovata e la donna alla fine non calcò la mano sulla vicenda della violenza. «Se l’intervento di magistratura e forze dell’ordine fosse stato più incisivo, mia nipote sarebbe ancora viva» accusa ora lo zio Michel Lefebvre.
Le varie versioni tuttavia convergono sul fatto che la situazione era precipitata quando, in seguito all’episodio del 30 giugno, la donna aveva «cacciato di casa» il marito. «Se n’era dovuto andare ma il suo chiodo fisso rimanevano sempre Cristina e i figli».
Piero aveva continuato a lavorare nell’agenzia di pratiche automobilistiche aperta dal padre Tommaso in via Torino 2, vicino la stazione di Rho. Lei invece andava tutte le mattine nel bar trattoria «Ratatuia» in via Risorgimento, di proprietà di papà Lino, come del resto l’intero stabile che ospita anche l’autofficina «Eleonora», nome dato in ricordo di una terza sorella Messina morta oltre vent’anni fa.
«Venivano entrambi da due ottime famiglie  – ricordano nel quartiere – i loro suoceri sono gran lavoratori che avevano soprattutto abituato i figli a guadagnarsi il pane quotidiano». Profili di protagonisti, vittime e familiari che rendono ancora più inspiegabile la carneficina consumatasi ieri mattina, sotto gli occhi allibiti di un bimbo di sei anni.
«Piero sembrava tranquillo – racconta chi lo ha incontrato nei giorni scorsi – parlava della moglie della quale era ancora invaghito, e che sperava di riconquistare, proprio come un ragazzino innamorato per la prima volta. Nei suoi discorsi non c’era nulla che potesse far pensare a quanto sarebbe accaduto dopo qualche giorno».


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