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Cristina Peroni, 32 anni, mamma. Massacrata con 51 coltellate e 17 colpi di mattarello in testa dal convivente, davanti al figlio di 5 mesi

Bellariva (Rimini), 25 Giugno 2022


Titoli & Articoli

Gli ultimi sms di Cristina: “Non voglio che mio figlio cresca in un posto dove il padre urla, mortifica e picchia la madre”
Le verifiche della squadra Mobile sull’omicidio della 33enne Cristina Peroni da parte del marito 47enne Simone Benedetto Vultaggio hanno portato una nuova luce sul delitto che si è consumato a Rimini lo scorso 25 giugno in via Rastelli: non è stato “il frutto di una frustrazione fortissima e però determinante”, ma un’azione giunta “all’esito di una serie di condotte reiterate e già pienamente maltrattanti”. Nella nuova ordinanza cautelare del Gip di Rimini notificata in carcere all’uomo si sottolinea come i maltrattamenti nei confronti della vittima erano iniziati con la convivenza: vessazioni di natura sia fisica che psicologica quelle delineate dagli inquirenti tra “costanti atteggiamenti denigratori e offensivi”, schiaffi e botte anche quando lei era incinta o mentre allattava il piccolo. Lui sarebbe pure giunto a stringerle le mani al collo per soffocarla. E una volta le avrebbe puntato una pistola contro minacciandola di morte.
Futili i motivi che, prosegue l’accusa, “lo animavano: perlopiù l’irritazione legata alla gestione del piccolo che lui avrebbe voluto a suo modo. E proprio l’ultimo episodio che lo aveva portato a uccidere la moglie, era scattato dal fatto che lei non gli avesse fatto tenere il bimbo in braccio. Il Gip nella sua nuova ordinanza cautelare ha dato atto che, nell’ambito di “gravi indizi di colpevolezza”, la Procura con questa nuova richiesta restrittiva, ha consentito la “comprensione di un contesto estremamente più grave di quanto delineato inizialmente”.

 

 

Nel complesso è emersa una “crudeltà che già prima della gravidanza lo contraddistingueva” e che si è manifestata attraverso un “dolo unitario e abituale” messo in campo per mantenere “un contesto di convivenza doloroso, di prevaricazione e soggezione”. La donna, “inizialmente innamoratissima” del compagno, quando aveva realizzato la portata della situazione era cambiata radicalmente virando verso un atteggiamento di “paura per il figlio e per sé”. Per ricostruire dopo la morte l’entità dei contestati maltrattamenti, gli investigatori hanno sentito familiari, amici della defunta e colleghi di lui; hanno raccolto le confidenze che la vittima aveva fatto attraverso i messaggi telefonici, hanno analizzato i cellulari di vittima e 47enne e hanno acquisito la relazione sulle dichiarazioni rilasciate dalla Peroni al centro anti-violenza dello sportello del Comune di Monterotondo (Roma). Il 12 febbraio la vittima aveva scritto questo messaggio a un’amica: “Se muoio mio figlio va affidato a mia mamma, nel mio telefono ci sono varie prove per il giudice: io me ne voglio andare da qui, non so come fare“.
Il 7 marzo a un’altra amica aveva inoltrato un messaggio inviato al compagno in cui aveva scritto tra le altre cose: “(…) Simone io non riesco a tornare a Rimini, non voglio stare con te e non voglio che (…) cresca in un posto dove il padre urla, mortifica e picchia la madre (…) con tutte le volte che mi hai mortificata verbalmente e mi hai alzato le mani mi hai allontanata, hai ridotto una briciola il mio cuore“.
È stata la madre della vittima a riferire l’episodio delle presunte minacce con la pistola: la figlia glielo aveva raccontato a febbraio. Lo stesso episodio lo ha riferito un’amica che aveva incontrato la 33enne a maggio a un funerale. Non solo: un collega di lavoro del 47enne ha detto che l’uomo gli aveva confidato l’intenzione di “comprare una pistola e recarsi a Roma”.

 

 

 

Omicidio Rimini, il corpo di Cristina Peroni straziato da 50 coltellate
Gli esiti dell’autopsia sulla vittima della brutale aggressione: resta in carcere il compagno Simone Bendetto Vultaggio
Una cinquantina di coltellate al capo, al collo e alle braccia, inclusa quella che le ha lacerato la carotide. Cinquanta fendenti, vibrati con un coltello da filetto, che si aggiungono ai 17 colpi di mattarello con cui, stando alle ricostruzioni, sarebbe cominciata l’aggressione. Sono 67, in tutto, le ferite e le lacerazioni ritrovate sul corpo di Cristina Peroni, 32 anni, vittima del femminicidio consumatosi sabato scorso in via Rastelli. È quanto emerge dall’autopsia disposta dal pubblico ministero titolare dell’inchiesta, Luca Bertuzzi, e affidata alla dottoressa Loredana Buscemi, specialista in medicina legale degli ’Ospedali Riuniti’ di Ancona.
Risultati, quelli dell’esame autoptico, che permettono di comprendere con una chiarezza disarmante la brutalità di Simone Benedetto Vultaggio, 47 anni, accusato dell’omicidio della compagna, massacrata dopo l’ennesimo litigio.
Ieri il gip Raffaella Ceccarelli ha convalidato l’arresto dell’uomo, che resta così in carcere ai ‘Casetti’, dopo l’interrogatorio di garanzia svoltosi nella giornata di martedì. Nella sua ordinanza, il giudice parla di “efferratezza” e di “estrema crudeltà”: elementi desumibili non solo dal numero di colpi inferti alla vittima, ma anche dall’utilizzo di armi diverse tra loro come mattarello e coltello, quest’ultimo ritrovato ancora sporco di sangue nel lavandino della cucina dagli agenti della Squadra mobile, accorsi sul posto dopo essere stati allertati dai vicini di casa.
Una escalation di violenza Il rapporto tra Simone e Cristina, sarebbe stato caratterizzato da “una escalation di violenza” culminata nell’omicidio di via Rastelli, ma che è frutto di “un atteggiamento prevaricatore” da parte del 47enne, il quale più volte – stando alla ricostruzione fatta fino a questo punto dagli inquirenti – aveva già aggredito, verbalmente e forse anche fisicamente, la compagna.
Vultaggio, nel corso dell’interrogatorio, ha rimarcato più volte come la sua storia con Cristina fosse diventata molto problematica. I litigi, ha spiegato, erano all’ordine del giorno, tanto che la donna – dopo essersi già allontanata da lui una prima volta, tornando per alcuni mesi a vivere dai genitori a Roma – sembrava pronta a troncare del tutto ogni rapporto, portando con sé il figlioletto di cinque mesi. Una decisione, quest’ultima, che non sarebbe andata giù al 47enne, il quale dal canto suo ha detto di non ricordare nulla del momento in cui ha commesso il delitto. Un’amnesia, secondo la sua versione, determinata dai farmaci per curare l’insonnia. I funerali di Cristina si terranno domani alle 16 nella chiesa di Santa Maria degli Angeli di Mentana (in provincia di Roma).

Omicidio Rimini, il killer di Cristina Peroni: “Voglio vedere mio figlio”
Simone Vultaggio si trova in carcere e vuole notizie del bimbo di 5 mesi. Davanti al piccolo ha ucciso la madre e compagna Cristina Peroni
È apparso disorientato. Non ancora del tutto consapevole del delitto commesso
, quello della compagna, Cristina Peroni, 32 anni, massacrata sabato scorso con trenta coltellate nella casa di via Rastelli a Bellariva. Per quel femminicidio, il terzo registrato a Rimini nell’arco di pochi mesi, è finito in manette Simone Benedetto Vultaggio, 47 anni. Dal carcere ‘Casetti’, l’uomo continua a chiedere notizie del figlioletto di soli cinque mesi.
“Come sta? Dove si trova in questo momento? Vorrei vederlo”. Queste le domande ripetute come un mantra al suo avvocato, Alessandro Buzzoni. Vultaggio, accusato di omicidio volontario aggravato, fino ad ora si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere. Oggi sono previsti sia l’interrogatorio di garanzia che l’autopsia sul corpo della vittima, disposta dal sostituto procuratore Luca Bertuzzi e affidata alla consulente tecnica Loredana Buscemi.
Vultaggio, stando alla ricostruzione degli investigatori della Squadra mobile, avrebbe aggredito la compagna, originaria di Roma, ma trasferitasi a Rimini da circa un anno, al termine dell’ennesimo litigio. Cristina e Simona erano compagni, ma la loro era una relazione che chi li conosceva definiva “turbolenta”.
Lei, a quanto pare, voleva lasciarlo per sempre. “Non permetteva che tenessi mio figlio in braccio”,
avrebbe raccontato il 47enne agli agenti della polizia di stato, accorsi sulla scena del crimine. Per ucciderla, avrebbe utilizzato un coltello da cucina. Sferrando circa trenta fendenti, di cui uno dritto alla giugulare. Prima ancora, Vultaggio avrebbe stordito la donna con diversi colpi di mattarello, almeno secondo la ricostruzione degli inquirenti. Il pm Bertuzzi, che coordina l’inchiesta, ha disposto dei test tossicologici su Vultaggio per capire se l’uomo fosse o meno sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, quando si è scagliato addosso alla convivente. Il tutto con il figlio di cinque mesi nella stanza accanto.
“Lui l’aveva aggredita e picchiata più volte
– hanno raccontato alcuni vicini di casa – anche quando era incinta”. “Mio figlio sta bene e ora lei non potrà più parlare male di me”, avrebbe detto ad alcuni di loro il 47enne uscendo di casa, sabato mattina, ancora sporco di sangue. Cristina non l’aveva mai denunciato, ma a un certo punto aveva deciso di andarsene. Per un paio di mesi era stata a Roma col bambino, poi Simone l’aveva convinta a tornare a Rimini per passare più tempo con il figlio. Nella casa di via Rastelli i poliziotti hanno trovato anche uno zaino, che è stato posto sotto sequestro, una sorta di pistola artigianale e più di cento proiettili. Vultaggio è stato titolare di porto d’armi rilasciato nel 2009, che risulta scaduto.

Tolta la patria potestà al femminicida reo confesso che uccise la compagna davanti al bambino
Aperto il processo in Corte d’Assise per Simone Benedetto Vultaggio, il 48enne che lo scorso 25 giugno in via Rastelli uccise la 33enne Cristina Peroni con oltre 50 coltellate
Si è aperto davanti ai giudici della Corte d’Assise di Rimini il processo per Simone Benedetto Vultaggio, il 48enne che lo scorso 25 giugno in via Rastelli uccise la compagna 33enne Cristina Peroni davanti al figlio di appena 6 mesi. Nei confronti dell’uomo, difeso dall’avvocato Liana Lotti, il Tribunale dei Minori ha revocato la patria potestà sul bambino avuto con la vittima che è stato affidato ai nonni materni con la possibilità per i genitori di Vultaggio e la sorella di avere degli incontri col piccolo.
Il 48enne, oltre di omicidio pluriaggravato, deve rispondere anche di maltrattamenti in famiglia dopo che il gip aveva rilevato come l’assassinio non sia stato “il frutto di una frustrazione fortissima e però determinante”, ma un’azione giunta “all’esito di una serie di condotte reiterate e già pienamente maltrattanti”. Le indagini della Squadra mobile, infatti, avevano portato il magistrato ad emettere una  nuova ordinanza cautelare che era stata notificata in carcere a Vultaggio dove si sottolineava come i maltrattamenti nei confronti della vittima erano iniziati con la convivenzavessazioni di natura sia fisica che psicologica quelle delineate dagli inquirenti tra “costanti atteggiamenti denigratori e offensivi”, schiaffi e botte anche quando lei era incinta o mentre allattava il piccolo”. Nell’ordinanza il gip aveva sottolineato nei confronti del 48enne una “crudeltà che già prima della gravidanza lo contraddistingueva” e che si è manifestata attraverso un “dolo unitario e abituale” messo in campo per mantenere “un contesto di convivenza doloroso, di prevaricazione e soggezione”. La donna, “inizialmente innamoratissima” del compagno, quando aveva realizzato la portata della situazione era cambiata radicalmente virando verso un atteggiamento di “paura per il figlio e per sé”.
Per ricostruire dopo la morte l’entità dei contestati maltrattamenti, gli investigatori hanno sentito familiari, amici della defunta e colleghi di lui; hanno raccolto le confidenze che la vittima aveva fatto attraverso i messaggi telefonici, hanno analizzato i cellulari di vittima e 47enne e hanno acquisito la relazione sulle dichiarazioni rilasciate dalla Peroni al centro anti-violenza dello sportello del Comune di Monterotondo (Roma). Il 12 febbraio la vittima aveva scritto questo messaggio a un’amica: “Se muoio mio figlio va affidato a mia mamma, nel mio telefono ci sono varie prove per il giudice: io me ne voglio andare da qui, non so come fare”.
Quella del figlio era diventata un’ossessione per Vultaggio tanto che, subito dopo il delitto, le sue uniche preoccupazioni erano per il bambino le cui sorti al momento sono ancora in fase di decisione da parte del Tribunale dal momento che sia i famigliari della vittima che quelli del 48enne ne hanno chiesto l’affidamento.
Quello di Cristina Peroni è stato il terzo femminicidio del 2022 a Rimini quando, nella mattinata del 25 giugno, la coppia aveva iniziato a litigare nella villetta di via Rastelli tanto che le urla avevano attirato l’attenzione dei vicini e farli scendere in strada allarmati dalle grida della 33enne e dal pianto disperato del bambino. “Basta! Basta!” aveva gridato la vittima e, subito dopo, sulla strada era sceso un silenzio agghiacciante mentre era scattato l’allarme che aveva fatto accorrere sul posto sia le pattuglie della Polizia di Stato che l’ambulanza del 118. I primi soccorritori, saliti al primo piano della villetta, si erano trovati davanti agli occhi una scena agghiacciante: la 33enne riversa a terra nella camera da letto in un mare di sangue, il compagno a sua volta sporco di sangue e il piccolo di 6 mesi che piangeva in una maniera straziante.
Il medico di Romagna Soccorso non aveva potuto fare nulla per salvare Cristina Peroni e ne aveva dichiarato il decesso mentre l’uomo, con ancora gli schizzi di sangue sul volto, era stato portato in strada. Secondo i vicini, che avevano assistito alla scena, il 47enne aveva un sorriso sulle labbra mentre rassicurava tutti dicendo che “Il bambino sta bene. Adesso lei (riferendosi alla compagna – ndr.) la smetterà di parlare male di me al piccolo”.
L’autopsia sul corpo della vittima aveva evidenziato come Cristina era stata martoriata con “quattordici colpi di mattarello sul capo” prima di sferrarle “cinquantuno fendenti di coltello (a serramanico, della lunghezza di 19 centimetri, ndr) diretti in varie parti del corpo ed in particolare al collo della vittima, che colpì per ben 29 volte quando la stessa giaceva ormai inerte al suolo”.


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